Sabato 17 maggio abbiamo ascoltato con grande attenzione i due relatori del Convegno per le Caritas parrocchiali, don Attilio Mazzoni e Silvia Sinibaldi. Gli abbiamo affidato un gran tema: Tempo della speranza, tempo della scelta – etica e responsabilità del Giubileo. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a ritornare al cuore della questione, affinché il Giubileo non sia solo una pratica religiosa.
Se il Giubileo esige un cambiamento di vita cosa non possiamo perdere di vista nel nostro impegno quotidiano per la costruzione di una comunità meno distratta e capace di “rendere conto della speranza che è in noi?” (1Pt3, 15).
Ci hanno mostrato due declinazioni diverse ma chiarissime: don Attilio ci ha mostrato come la Chiesa oggi stia tentando di tornare al significato originario, ridando possibilità di punti partenza, aprendo porte sante nei luoghi di cura, in carcere, nel centro del cuore dell’Africa; Silvia ci ha chiaramente ricordato come il Giubileo è un tempo da vivere con rinnovata responsabilità, è un’occasione per rileggere e dare nuovo slancio alle nostre opere segno: scegliamo di essere “noi stessi” segno di speranza per le nostre famiglie, i territori che serviamo, la Chiesa locale e l’intera comunità.
Gesù al tempio (Lc 4, 16) legge il profeta Isaia e si ferma un passo prima della conclusione dell’antico testo. Si ferma proclamando “l’anno di grazia del Signore” per quelli per cui nessuno farebbe nulla: i prigionieri, i ciechi, gli oppressi. Il centro del nostro agire e del nostro credere non sarà essere capaci di quei segni di speranza?
Quando come Caritas pensiamo a dei progetti, ideale sarebbe riflettere sul modo in cui questi vengono pensati, programmati e progettati: da dove arriva l’idea? L’idea parte dall’attenzione alla persona, o alla convenienza del momento? Di più: perchè non coinvolgere chi ne beneficerà? Progettiamo da soli o insieme ad altri? Sappiamo farci lievito, anche con il nostro programmare? Quanto riusciamo ad essere profetici?
Una domanda infila all’altra. Non lasciano spazio a molti alibi. Da qui il racconto delle progettualità – come segni giubilari, quindi di speranza – che Caritas Italiana mette in campo con alcune azioni concrete per promuovere la dignità e la libertà di ogni persona. Ora ci è molto più chiaro perché la carità non è una conseguenza della fede, ma una sua condizione essenziale.